A partire dagli anni ’50, a seguito di un forte incremento dei casi di suicidio o tentato suicidio, specie tra i giovani, gli studi sul tema iniziano a ricevere contributi sociologici, demografici, filosofici, religiosi e medici. Tale scienza prende il nome di "suicidiologia" e si sviluppa considerando il suicidio come un fenomeno centrato sulla predisposizione della mente ad elaborare processi, considerazioni, convinzioni, che portano a credere che la morte sia la miglior soluzione per porre fine ad un dolore mentale insostenibile.

A partire dagli anni ’50, a seguito di un forte incremento dei casi di suicidio o tentato suicidio, specie tra i giovani, gli studi sul tema iniziano a ricevere contributi sociologici, demografici, filosofici, religiosi e medici. È nel 1964 che Edwin Sheneidman, psicologo, fonda la “suicidologia”, una scienza dedicata allo studio e alla prevenzione del suicidio. Tale scienza nasce considerando il suicidio come un fenomeno centrato sulla predisposizione della mente ad elaborare processi, considerazioni, convinzioni, che portano a credere che la morte sia la miglior soluzione per porre fine ad un dolore mentale insostenibile.

Il fenomeno suicidario avvolge il soggetto in crisi: è uno stato di sofferenza e perturbazione della mente, definita “dolore mentale”, ancorato a fattori multipli. Il desiderio di morire tocca gli aspetti più intimi dell’individuo, sconvolgendolo, portandolo a ragionamenti tortuosi e rendendolo inquieto e ambivalente. I soggetti a rischio spesso riescono a gestire momenti di difficoltà, ma possono trovarsi sopraffatti dalla sofferenza mentale con ruminazioni sul vivere o sul morire, abbandonandosi all’illusione che non vi siano via di fuga o soluzioni possibili.

Essendo una condizione molto intima, i soggetti in crisi possono ritirarsi dagli affetti o celare il loro stato per paura del giudizio altrui. In un numero rilevante di casi, tuttavia, i soggetti manifestano le loro intenzioni, e devono essere ascoltati con attenzione. La crisi suicidaria è infatti uno stato di sofferenza particolare, una tempesta transitoria, che può essere affrontata con la terapia della parola e dell’ascolto, unita ad un sostegno farmacologico.

La suicidologia, diversamente dalle altre scienze comportamentiste, non include solo lo studio del suicidio, ma enfatizza l’importanza della prevenzione dell’atto e agisce a questo livello incorporando interventi clinici appropriati per prevenire il suicidio, spostando il focus non solo sul suicidio in sé, ma anche su tutti i comportamenti suicidari.
In questo senso, la prevenzione attuata dalla suicidologia si pone come obiettivo il comprendere e ordinare i processi mentali degli individui in stati di sofferenza, andando a valutare e approfondire il rischio di suicidio, rischio che fa leva sulla storia dell’individuo ma dipende da una serie di eventi e fattori, che lo rendono altamente fluttuante e dinamico, anche nel breve periodo.

L’ingrediente di base al rischio è il dolore mentale, che supera la soglia della sopportazione. La suicidologia classica considera il suicidio come un tentativo di porre fine a tale dolore, che si realizza quando raggiungono il culmine tre dimensioni della sofferenza: “press”, l’insulto irritativo esterno o interno, “perturbation“, l’agitazione, “restringimento cognitivo”, uno stato di costrizione psicologica che limita le opzioni a due soli rimedi, la soluzione totale della sofferenza o la morte.

La suicidologia, attuando programmi di ricerca, valutazione, prevenzione e intervento, porta avanti l’obiettivo di comprendere e ridurre il dolore mentale degli individui, offrendo la possibilità di supporto e cura, riducendo al minimo il rischio di suicidio.