Il suicidio è spesso la causa più comune di morte in carcere. I detenuti in attesa di giudizio e i condannati hanno un tasso di tentativo di suicidio rispettivamente di 7.5 e 6 volte maggiore degli uomini della popolazione generale. Negli ultimi anni l’aumento dei tentativi di suicidio nelle carceri ha spinto il Ministero della Giustizia a porre maggiore attenzione al fenomeno, specie sul versante preventivo. Le conseguenze di un evento suicidario in carcere sono, tuttavia, connotate da una grande complessità, che riguarda la salute mentale dei detenuti e della Polizia penitenziaria, ma anche delicate questioni legislative.
Infatti:
“Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, ed un eventuale fallimento di questo mandato può essere perseguito ai fini di legge. Infatti, in caso di morte di un soggetto detenuto, qualora l’autorità giudiziaria dovesse ravvisare negligenze, ritardi oppure omissioni nel comportamento del personale di Polizia penitenziaria, è possibile rilevare in questi casi una responsabilità penale per omicidio, a titolo di omissione colposa.
Il rischio di suicidio di un detenuto rappresenta un forte fattore ansiogeno, sia per il personale di Polizia penitenziaria che per gli altri detenuti. Possono verificarsi forti emozioni di rabbia e proteste da parte degli altri ristretti, nei confronti del personale preposto alla sezione detentiva, per non aver scongiurato la comparsa dell’evento.
Il personale di Polizia penitenziaria, a sua volta, potrà viversi profondi sensi di frustrazione, fino alla comparsa di disfunzioni psicosomatiche. È necessario quindi che il personale segua una specifica formazione, indirizzata agli aspetti preventivi del fenomeno, insieme agli operatori sanitari, in particolare nel delicato momento dell’accoglienza dei “nuovi giunti”.
(Ministero della Giustizia).
Dall’incipit del Ministero della Giustizia appare chiaro come il fenomeno sia ben più complesso di quanto appaia. Proprio per questo motivo, sono tanti i fattori da tenere in considerazione e i punti di vista da esplorare. L’incarcerazione rappresenta la perdita di libertà, l’allontanamento dalla famiglia e l’isolamento sociale, ma è anche paura delle possibili violenze fisiche e psicologiche, sensi di colpa per il crimine commesso, stress, disperazione.
Tra i fattori che contribuiscono ad un aumentato rischio suicidario in carcere troviamo lunghe condanne, prevalenza di malattie psichiatriche e HIV/AIDS, scarso accesso a servizi sanitari… ma soprattutto l’impatto iniziale con l’ambiente carcerario, il sovraffollamento e il deterioramento delle relazioni affettive e sociali.
Troppo spesso, l’unica drammatica via per scappare dall’angoscia interiore e perdita di speranza conseguenti all’incarcerazione e amplificati dalle condizioni di vita negli istituti, risulta essere la morte.
Un evento suicidario in carcere può però avere anche ripercussioni morali e/o materiali su tutto il resto del contesto penitenziario. Gli altri detenuti possono reagire con rabbia e proteste nei confronti del personale, considerato non in grado di scongiurare la tragedia e disinteressato alla sofferenza psicologica dei detenuti. Da parte del personale di Polizia Penitenziaria, questo può portare gravi sentimenti di colpa e impotenza, che spesso vengono somatizzate, sfociando in gravi problemi di salute psico-fisica.
Il suicidio di un detenuto rappresenta, quindi, un evento stressogeno per tutto il microcontesto carcerario. Per questo programmi di prevenzione e servizi di intervento efficace e tempestivo sono fondamentali. I programmi di prevenzione applicati fino ad ora hanno portato, in alcuni casi, ad una diminuzione dei tentativi di suicidio, ma tali programmi sono ancora troppo scarsi e spesso inadatti.
Una maggior attenzione alla salute mentale dei detenuti è essenziale: screening psicologici-psichiatrici dovrebbero essere applicati ad ogni nuovo ingresso, con follow up regolari, da personale specializzati e formato a lavorare in un contesto così delicato e complesso.
La possibilità di accesso a cure mediche e psicologiche con colloqui di supporto e visite mediche regolari (spesso un lusso che poche realtà possono permettersi di realizzare), dovrebbe essere potenziata e garantita a tutti, detenuti e personale di Polizia Penitenziaria.
Migliorare la vita nelle strutture penitenziare vuol dire agire all’interno delle stesse, contrastando il problema del sovraffollamento, ma anche aumentare lo scambio con l’esterno e salvaguardare la rete relazionale, affettiva e sociale dei detenuti. I benefici si espanderebbero all’intera rete di lavoro, coinvolgendo anche il personale penitenziario. Il diritto alla cura, alla dignità e alla vita è universale.
FONTE
La prevenzione dei suicidi in carcere. Contributi per la conoscenza del fenomeno.
Giuseppe Laforgia 2011.
Ministero della Giustizia, Quaderni ISSP Numero 8.